In una casetta sperduta fra gli alti e fitti boschi non ancora innevati d’inverno, il rosso comignolo annerito dal fumo e dai tronchi di pino sporgenti l’uno sopra l’altro, un uomo anziano viveva solitario. Ricurvo sotto il peso del suo sapere ed un bastone di legno levigato dagli anni a sostenerlo, il vecchio, dall’ispida barba grigia e profondi occhi scuri, chiamava per nome il mattino e la sera, il vento ed i colori, il tutto ed il nulla.
Una mattina, quando ancora il sole era dormiente sotto il filo sottile dell'orizzonte, il vecchio saggio si destò e seppe che quello non sarebbe stato un giorno qualunque.
– Ah! – si lamentò – le mie povere ossa – Annusò l’aria, come un segugio fiuta le tracce della preda, come un bambino affamato annusa il pranzo che ribolle nel pentolame della mamma sul fuoco - Quel pensiero uscì in un filino di voce, quasi un bisbiglio e avvicinandosi alla finestra inumidita dalla fresca mattinata, vide nel chiaroscuro del suo giardino un passerotto che poggiava sulla staccionata. Immobile.
Con le piume madide di rugiada ed il becco fisso come fisso è il muschio sulla corteccia rugosa del bosco, il passerotto era lì immobile.
- Opf, perbacco – si tolse il cappello e si ravviò i grigi, ormai radi capelli. Incuriosito, si fermò ad osservarlo e pensò che il passerotto avesse fame dopo una notte lunga e fredda. Prese del pane e lo fece in piccole briciole che, rafferme nella sua mano, andò a porgere al suo ospite. Quando, sulla soglia di casa, pochi attimi, quanto basta al sole per spuntare tutto ed essere nell’azzurro del cielo che il passero volò via.
- Oh, gioia e sospetto! – esclamò il vecchio lisciandosi l’irsuta barba – Sapere e dispetto! Che passerotto buffo e imprevedibile. –
Il saggio non comprese il gesto del piccolo e con un sorriso divertito lasciò che i suoi pensieri ne perdessero la memoria poiché il sole già solcava i propri sentieri nel cielo.
Il giorno sfiorò così quella casetta, passando oltre e lasciando posto e tempo alla notte.
Fra il canto del grillo ed il vellutato volo della civetta che s’appresta al riposo, il vecchio saggio si chiamò al mattino; con i primi albori che, prima ancora di vederli rischiarare il sonno, li udiva nel risveglio del sottobosco tutt’intorno alla casetta dormiente.
- Per il giorno e per la notte! – esclamò il vecchio che aveva il naso puntato sul vetro della finestra. Il piccolo passerotto era tornato!
– Pare mattiniero il piccolo! – con ancora il naso sul vetro della finestra ed una nuvoletta palpitante a contorno, curioso, l'osservò attentamente. Il passerotto stava rivolto all’alba col becco rigido e lo sguardo fisso, non una sola piuma si muoveva né alcuna esitazione sulle zampette. Quando il sole spuntò tutto nel cielo ed il chiarore divenne luce, il batuffolo di piume e penne volò via cantando.
- Oh, per questo e per quello! – esclamò il vecchio, impalato come un tronco nel terreno – Sì, sì, imprevedibile il passerotto! –
Il mattino seguente e l’altro ancora, il vecchio si scorse dalla finestra ed il medesimo passero e la medesima alba si presentarono. Giorno dopo giorno, al sorgere del sole, volava via cantando!
L’anziano pensò che quello dovesse essere una sorta di benvenuto al sorgere del sole
- Per quello c’è il gallo – disse fra sé e sé. I passerotti adoperano il loro tempo a raccogliere rametti, foglioline per il nido, piccole briciole di pane e gocce di rugiada per le uova che si sarebbero schiuse in un cinguettio di becchi da sfamare. Niente, non riusciva a comprendere quello che il passerotto stesse facendo. Il cruccio assilla una mente più del ticchettio di un orologio a pendolo e non concilia il riposo. Neppure il deliziare della pipa, il calore del caminetto o il vociferare del vento e l’ondeggiare dell’erba negl’irti pascoli. Così, il mattino seguente, alzatosi prima ancora che la notte s’avvedesse del sole, volle parlare al passerotto. Si sporse dalla piccola porticina e dall’uscio. Lì, sulla staccionata, vide il piccolo passero e si avvicinò.
- Buon giorno, mio piccolo amico! – affabilmente si rivolse al passero che non distolse né becco né sguardo dal cielo che piano schiariva. Solo la brezza del mattino lo avvolgeva sollevando le intirizzite piume sull'esile corpicino. Pensò che non l’avesse udito e ostinatamente ripeté il saluto.
– Buon giorno, mio piccolo amico. Cosa ti porta sul mio steccato? - Ma nessuna risposta uscì da quel becco. Fisso, immobile, attento!
Cosa c’era di tanto importante in una semplice alba da non udire neppure un saluto? Cosa stava cercando il passerotto scrutando l'orizzonte?
Il vecchio quindi s’avvicinò delicatamente, per non distogliere le sue attenzioni, pose i gomiti sullo steccato e con la testa ben stretta fra le spalle, stette ad osservare l’alba. Attentamente, impaziente, aspettò.
S’alzò il sole. Lentamente, come se scalare le irte pendici cieche che portano alle cime dei monti ed ancor più in alto nel cielo, fosse faticosissimo. Corrugò la fronte e strizzò forte gli occhi per vedere meglio. Distinse solo vette perlate di luce, qualche pino e le radure isolate nel muggire di un pascolo. Osservò il sole affacciarsi al cielo e lo vide salire tutto ma, quando fu così, il passerotto volò via cantando ed il vecchio ritornò solo in casa, pensieroso.
Per la prima volta nella sua lunga vita si sentì piccolo e impotente; il sole, l'alba, il passero. Tutto così a portata di mano ma così lontano da non riuscire a distinguere la tessitura dal dipinto in quella tela così delicatamente tessuta.
Il giorno accarezzò la casetta sulla montagna e fu seguito dalla notte che a sua volta portò a un nuovo chiarore. Il vecchio, barbuto e saggio uomo, si svegliò ed andò alla finestra con negli occhi il passerotto.
- Oh, per il sole e per la luna! – non c’era.
Né il mattino seguente, né l’altro ancora, il passerotto si fece più vedere sullo steccato della casetta e, in quel piccolo giardino, nuovi pensieri diventarono certezze che sfiorarono il vecchio saggio.
- Quel passerotto, così esile e suscettibile alle vizze del tempo, ha capito quello di cui io sorrido e che a parole non so spiegare! – così il vecchio saggio commentò ad alta voce e si fece triste.
- Quanta meraviglia ha creato l’uomo? – pensò – La parola, la scrittura, il calcolo, il pensiero, l’architettura, l’avventura, la musica e – ridendo - il cellulare -
Il saggio si sedette su una vecchia, anch’essa, sedia in vimini.
- Io che negli anni ho raccolto saggezza, studiando e cercando nella conoscenza del tempo, quante cose ho dato per scontate? –
Così al vecchio sembrò eternità il peso da sostenere sulle spalle ed uscì nel giardino fino allo steccato e lì rimase fino a che il sole non fu nel cielo gradiente.
Una lacrima solcò quelle guance aride da troppo tempo; nulla più apprese che già non sapesse e desiderò esser un passerotto e volò via cinguettando…
“La leggenda racconta che, ancora oggi, quando molti giorni e molte notti sono volate come soffici nuvole di zucchero filato sul tetto del mondo, un anziano saggio con la barba irsuta e i capelli raccolti da un vecchio cappello dal colore di terra bagnata, presto al mattino aspetti l'alba divenire sole. Cantando, talora fischiettando, diventi un passerotto e voli su quei sentieri che ogni bambino nei disegni giovanili crea; fino all'indomani quando all'alba…”
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