In un luogo lontano nel tempo, fra le radure e i campi fioriti, fra i sassolini e le sterpaglie al suolo, vivevano due bruchi. Erano amici, quasi fratelli, i due bruchi erano inseparabili, ma molto diversi l'uno dall'altro.
Uno, il più ghiotto dei due, mangiava qualsiasi cosa gli capitasse dinanzi ed era un bel bruco grassottello. L'altro invece aveva sempre la testa fra le nuvole e di rovistare fra le foglioline proprio non ne voleva sapere. Era un po' più esile fra i due. Caracollante, sempre con la testa fra le nuvole, a lui piaceva guardare in alto, oltre i fiori con il desiderio di arrampicarsi fin su in cima ad uno stelo per essere libero.
- Uff! - esclamò disarmato.
- Lascia perdere, vieni a mangiare queste prelibatezze - lo invitò l’altro - Lassù, con le zampine corte che hai, non arriverai mai! - lo sminuì l’amico che a stento, con la bocca piena, tratteneva il pranzo.
I bruchi strisciano, hanno delle piccole zampette tozze che per tutto sembrano fatte fuorché per camminare. Ad ogni passo, inarcano il dorso per spingersi più lontano e, un arco dolo l’altro, le giornate strisciavano sempre uguali. Sotto una foglia, in una radice sporgente, a far girotondo con i sassolini. La vita era segnata dal loro passaggio.
- Lo so - disse - Lo so - sconsolato si avviò mestamente al banchetto di leccornie che l’amico aveva imbandito. Foglioline fresche, radici, gocce di rugiada e per contorno morbide e succulenti bacche. Era un pasto di tutto rispetto, ma all’esile bruco sembrava non interessare. Lo sguardo, come un’altalena, cadeva sempre al cielo, verso i fiori che avevano il privilegio di osservarlo da vicino.
- Non c’è cosa migliore che avere la pancia piena! - disse divertito l’amico.
L’altro lo guardò infastidito, quasi incredulo e provò a convincerlo di quanto fosse interessante conoscere tutto quello che non si capisce e non si vede.
- Non sei curioso di sapere cosa ci sia oltre quel sasso, oltre quel fiore, oltre il cielo? Non sei curioso? - gli chiese guardando lontano - Non sei stanco di mangiare sempre foglie, piccole radici e qualsiasi cosa che ti arrivi davanti? - sorrise guardandolo.
- Io vivo di quello che mangio, a me piace tutto quello che trovo perché quando ho il pancino pieno, sono felice. - rispose l’amico e divertito proseguì con il suo banchetto.
- Cosa significa essere felici? - si fermò un attimo - Essere felici è saziare la propria fame abbuffandosi di cibo - sorrise - Una fame che si ripresenta come la notte dopo il giorno? La mia è fatta di curiosità, di domande a cui non trovo risposte. Questo desiderio mi fa venire l’acquolina in bocca e non sazia l’anelito di altre domande. - Si fermò per enfatizzare quello che avrebbe voluto dire e lo disse
- La tua, è divorare tutto il mondo! - e risero insieme.
Un pomeriggio, quando ormai la sera reclamava il suo spazio in cielo e fra i colori, l'aria era fresca e si preannunciava una notte fredda e umida. I due amici bruchi cercarono un riparo e strisciarono fino ad alcune foglie abbastanza grandi per accoglierli quella notte. Il primo ad arrivare fu il più forte e veloce dei due che, orgoglioso delle sue performance, sollevò la foglia per fare entrare l’amico. Si voltò, ma lo vide intento ad osservare in alto. Guardava il cielo imbrunire lentamente.
- Muoviti! - lo chiamò, ma l’altro non lo sentiva, era già nel suo mondo.
- Che bello! - pensava osservando gli alti papaveri sopra di loro. Sembrava toccassero il cielo e che la sera imminente e sghignazzante non li spaventasse.
- Vorrei poter salire per guardare il cielo diventare notte - pronunciò quel pensiero ad alta voce, tanto alta che venne udita.
Imprevista, squarciante come un lampo in cielo, come un lenzuolo che ricolmo di vento cade e si adagia al suolo, dall’alto una voce dolce e sinuosa gli parlò
- Vieni, sali lungo lo stelo - era un papavero, il più vicino a lui, che lo invitava a salire.
Alto e sinuoso, con petali tanto rossi che anche l’ombra sotto di lui lo era.
- Piccolo bruco, sali fin quassù, così potrai soddisfare il tuo sogno! - esclamò il fiore.
Il bruco, sotto lo sguardo attonito dell’amico, non se lo fece ripetere due volte e cominciò l'ardua arrampicata. Zampetta dopo zampetta, arco dopo arco, lentamente quell’avventura cominciò.
- Dove vai! - lo chiamò l'altro - Scendi! Come ti proteggerai per la notte?! -
Il bruco scalatore aveva imboccato la via che lo avrebbe portato più in alto di qualsiasi altro bruco prima. Si sentiva forte e coraggioso, non avrebbe avuto nessuno al suo fianco, era solo e scalava verso l’infinito!
Il fiore era altissimo, il bruco non era certamente un ottimo scalatore ed il cielo imbruniva velocemente, sembrava volesse rincorrere il giorno per scacciarlo.
Le ombre si allungavano ed il bruco, stremato dalla scalata e dalla fatica, non vedeva più nulla sopra di sé. Neppure il rosso del papavero era più rosso, ma una notte illuminata da tutte le stelle aveva coperto tutto il campo. Era freddo, l’amico si era già coricato al calduccio sotto la foglia e lui era lì, incapace di scendere e salire, ad un passo dal cielo.
- Tieni! - disse il papavero che aveva seguito ogni passo. Ogni sosta ed ogni passo di quell’avventura - Copriti con questi due miei petali -
Il papavero gli porse due dei suoi caldi petali.
- Grazie! Grazie, davvero! - il bruco li prese, vi si avvinghiò all’interno. Era indebolito dalla scalata, fra cielo e terra, ad un passo da un sogno, il bruco scalatore si addormentò.
Tutt’intorno si sparse la voce, silenziosamente per non svegliare chi stesse dormendo, ma assordante perché nessuno non dovesse non sentire.
- Ehi, psss! Hai sentito di quel bruchetto che si è arrampicato sul papavero? - chiese la cicala alla rosa.
- Eh, se non lo sai tu, chi dovrebbe mai saperlo! - esclamò la rosa divertita.
- Un bruco si è arrampicato fino in cielo! - esclamò la foglia al sasso che immobile ascoltava.
- Ma robe da matti, hai sentito? - e così, di bisbiglio in bisbiglio, anche le stelle accorsero a vedere quel bruco che con coraggio aveva scalato il papavero e dormiva nella fatica di una curiosità; di un sogno.
I sogni sono leggeri come l’aria che soffia nel vento, ma raggiungerli comporta molta fatica, molto impegno. Come per i colori, al giusto tempo, un po' di questo e un po' di quello, la giusta mescola ne fanno la bellezza.
Il mattino arrivò giusto in tempo, sospinto dalla notte che passava oltre.
Un caldo Sole mitigò le ombre bigie e la frescura si trasformò in rugiada, piccoli arcobaleni di felicità, i raggi cominciarono a far sbocciare i fiori del campo come in un mare di sorrisi.
Il primo a svegliarsi, nel frastuono di tanta bellezza, fu il bruco che si era coricato coperto dalle foglie.
Si udì un fortissimo grido, un tuono che vegliò tutti.
- Ah! - urlò il bruco - Cosa sono queste? - Urlava guardandosi il corpicino.
Dal bruco erano spuntate delle zampette, lunghe e nodose come delle piccole radici! Nella notte erano cresciute e ora si muovevano all’impazzata e lo portavano di qua e di là, correvano. Anche il suo corpicino sembrava non fosse più lo stesso. Era magro, veloce, scattante!
Lo stupore trasformò la paura in sorrisi e gioia incontrollata.
Il bruco, ormai non lo era più, era felicissimo!
- Che bello! - urlava, ridendo - AhAhAh! Guardate come corro e saltello! - su e giù, era incontenibile tanto che tutto il campo, l’erba, i fiori, i colori, si era fermati ad osservarlo!
Un vecchio insetto, che riposava su un alto sasso un po' in disparte, lo guardò con curiosità.
- È formidabile quello che ti è accaduto, la natura ti ha fatto un dono. Da oggi ti chiamerai Formica e saprai usare questi doni per tua utilità e diletto. -
La Formica, orgogliosamente girava su se stessa per ammirare la propria bellezza e la propria forza. Non riusciva ancora a credere quanto fosse stata fortunata!
Gli schiamazzi erano copiosi, tanto che arrivarono fino al papavero ed al bruco ancora addormentato.
Come in giorno di sole si aprono le finestre, lui mise fuori la testolina per osservare cosa stesse accadendo.
Il bruchetto scalatore era ancora arrotolato nei petali che la notte aveva tinto del colore della luna e sembravano intrecciati d’argento. Un poco alla volta uscì.
La magia di quella notte aveva disegnato nuove forme anche sull’altro bruco.
- Ohhhh! - si udì dal basso e tutto il vicinato esclamò con stupore che, come un alito di vento, lo raggiunse e smosse i petali attorno a sé che si aprirono in splendide e meravigliose ali.
- Ohhh! - I petali di papavero, durante la notte, si erano trasformati in ali meravigliose! Colorate, eleganti, coronavano un corpicino sinuoso ed aggraziato che sembrava incastonato di pepite d’oro fra le pieghe di una notte stellata!
L’anziano insetto, seduto nell’alto della propria saggezza, stava osservando la scena e con voce ferma ma colma di stupore si rivolse al bruco.
- Ora, amico mio, potrai cercare nelle vie del cielo le risposte che tanto brami e, nei colori del tempo, le domande con cui vorrai saziarti. - si interruppe brevemente come se volesse prendere spazio, una rincorsa nel fiato.
- Da oggi ti chiamerai Farfalla! Come il suono del battito delle tue ali magiche! -
Dal cielo al campo, dal fiume alla radura, tutti si erano fermati ad ascoltare e, incuriositi, a guardare la magia di quella scena.
- Cos’è? - Esclamarono alcuni.
Altri - Che meraviglia! -
- Una Farfalla! - si ripeterono l’un l’altro.
Ora tutto il campo conosceva il loro nome - Farfalla e Formica! - vennero acclamati!
- Farfalla, amica mia! - disse il papavero orgoglioso - Spicca il volo e raccontaci il mondo da lassù! -
Farfalla, un po' impaurita, provò a muovere le nuove ali ma non vi riuscì.
- Non riesco - disse - Non so come fare - ansimò sconsolata.
Non era certamente un bruco, ops, una Farfalla che si arrendeva alle prime difficoltà. Era salito bruco, lungo tutto un papavero e, trascorso la notte appeso alle stelle, era rinato Farfalla.
Si concentrò, lo sforzo fù grandissimo. Mosse le ali!
- Ora muovile velocemente, Vai! - il papavero.
Le ali erano aperte, dischiuse in un acquerello di colori vivissimi. Rivolte al cielo, cominciarono a sbattere sempre più velocemente.
- Farf, Farf, Farf! - sembravano cantare le ali.
Farfalla, sembrava sorretta da un arcobaleno. Volava!
- Io volo! - esclamò.
La gioia era insostenibile! Sembrava tutto così piccolo e i colori si mescolavano gli uni agli altri come se noi, seduti ad una finestra aperta sul mondo, stessimo guardando da un cannocchiale al contrario!
- Meraviglioso, è tutto meraviglioso! - esclamava.
Il campo sotto di lei era un puzzle di colori e profumi.
Il cielo era la cosa più vasta e intangibile che avesse mai visto. Più in alto volava e più lontano poteva guardare.
- Infinito! - Gridò agli amici di sotto che, con il nasino all’insù e con gli occhi bagnati dal sole del mattino, la guardavo!
- Brava, Così! - la incitavano gli amici. - Vola Farfalla, vola! -
- Com’è diverso il tempo da quassù, sembra così lontano il mondo di ieri! -
L’amica Formica la seguiva velocemente fra i fiori e ciuffi d’erba.
- Scendi, ho fame! - e risero insieme.
“Fu così che, in una notte lontana nel tempo, nel più improbabile dei luoghi, nacque la leggenda della Farfalla e dell’amica Formica.
Ancora oggi, nelle notti stellate, alcuni si fan formiche, altri salgono gli alti steli dei fiori e divengono farfalle con ali di infiniti colori quanto infiniti sono i colori dei petali delle emozioni. “
Intanto, nell’infinita misura del tempo, le due amiche corrono insieme nel sogno di un racconto, l'uno in cielo, l'altro in terra, portando con sé ognuno la propria sazietà; chi di vita, chi di stelle.
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