- Vieni con me?
Risuonano ancora oggi quelle parole
come un eco fra il cuore e il cielo.
Comincia così il mio racconto.
Un tardo pomeriggio di fine aprile, la sabbia fra le dita dei piedi, ruvida e tiepida, i pantaloni arrotolati alle caviglie, una maglietta colorata, nuova, le sneakers strette in mano e i calzini ripiegati dentro.
Fermo, non un passo avanti, non uno indietro. Come un pennone senza bandiera, stavo fermo ad osservare una ragazza, seduta sulla spiaggia poco sopra il bagnasciuga che fissava il mare della Laguna. Non era immobile, anche se da lontano sembrava lo fosse, ma il capo ciondolava seguendo il ritmo delle onde.
Mi avvicinai incuriosito, silenzioso come silenziosi possono essere i passi di un ragazzo sulla sabbia di Jesolo.
Seduta, le mani erano conserte sotto le ginocchia che le stringevano al ventre una veste bianca, con sfumature celesti e tenui ombre verdi. Un prato al vento, un mare calmo le si poggiava sulle spalle e cadeva lungo la sua figura come uno scoglio che si immerge nel mare e segue la forma delle onde. La pelle chiara brillava di una luce ruvida, tanto pareva che il sale e la sabbia avessero intrecciate fra loro le dita in un abbraccio a formarne uno velo. Gli occhi erano chiusi. Il vento profondeva i profumi del mare, dei chioschi di frittura del littorale e di frutta caramellata; quell’aria ricca, tra noi, smuoveva la sabbia tutt’intorno e i capelli, beccheggiando, cadevano sul giovane petto, sciolti e scuri, con ciocche che sembravano coralli intrecciati tra le onde.
Era bellissima.
- Mi chiamo Onda - disse inclinando il capo all'indietro.
Una lacrima le scese sulla guancia e fu di sale, oltre il sale del mare, le corse sulla guancia e mi ci tuffai per il tempo di un battito di cuore.
- Vengo dal mare - sussurrò
- D-da dove? - balbettai
- Da nessun luogo in particolare. Il mare è ovunque, tra le dita, nel cuore e nei desideri. - un sospiro e si voltò. Gli occhi verdi erano lucidi come un cielo sereno dopo la pioggia. - Sono nata lì, tra i desideri, nei sogni che il mare porta a riva.
Tolse le mani dal proprio abbraccio e le pose delicatamente dietro a sé, sorreggendo il capo che, rivolto al cielo, seguiva il movimento dei colori e delle nuvole.
Il cuore batteva forte in petto. Avrei voluto dire qualcosa di sensato, in fin dei conti, ero un ragazzo di buon cuore, dai sentimenti profondi, amavo la poesia ed il romanticismo, ma la voce si fermò in gola, incagliata nel sorriso involontario dei miei occhi. Avrei voluto correrle incontro. Erano pochi passi a dividerci, ma avrei voluto correrle accanto, magari abbracciarla, stringerla.
Il coraggio, ahimè, ha un peso che in quel momento non seppi portare.
Non lo feci, rimasi immobile, in apnea.
- Il cielo è un grande mare. Volare è come nuotare. - disse sciogliendo le spalle in un volo delicato.
La spiaggia era un mare mosso dal vento di quelle parole e io ero uno scoglio perso fra le onde. Erano emozioni che non riuscivo ad arginare. Seguivo con lo sguardo il suo respiro, un ruscello al quale avrei voluto dissetarmi.
Lei, lei era bellissima.
Si alzò.
Era esile e la veste segnava delicatamente la sua giovinezza ed il Sole risaltava i suoi lineamenti sinceri.
Fece un passo e prese le mie mani nelle sue.
- Hai mai visto il mare toccare il cielo? Lo hai mai visto?
Il cuore mi si fermò e con il capo le risposi di no.
- Vieni!
In un attimo mi sentii volare fra le onde del mare. Era come se stessi nuotando nel suo vestito, sentivo il suo cuore battere, vedevo il suo corpo scivolare. La mano era ancora stretta alla sua. Non sentivo il tempo passare, percepivo l’acqua, il suo sapore, percepivo il vento e la sua forza premere il mio petto.
Ad un passo dal cielo, ad un respiro dal mare.
Sentivo il peso dell’aria sopra me e la leggerezza dell’acqua che mi sorreggeva.
Eravamo l’uno accanto all’altra. Per nulla al mondo avrei lasciato quella mano. Guardavamo il Sole appesantirsi e sciogliersi al limite che il mare condivide con la Laguna.
- C’è un confine che non è mai lo stesso, che muta al mutare del peso che portiamo nel cuore.
- Meraviglioso! - sussurrai silenziosamente. Era un tramonto, come mille ne avevo visti, ma che mai avevo vissuto.
Quante cose guardiamo senza osservarle, capirle, sentirle proprie e di nessuno. Quanti gesti diamo per scontati, quante parole pretendiamo ci vengano dette per diritto di nascita.
Quante vite viviamo senza vivere.
Il Sole toccò il mare e noi eravamo sulla spiaggia come Soli persi nel tempo.
Onda era lì, di fronte a me. Il mare le accarezzava i piedi e lei mi tendeva una mano. Il palmo era pallido e rivolto all’imbrunire.
- Vieni con me?
Cosa avrei potuto dirle? Si! No! Vengo! Però poi posso tornare?
Mi limitai a osservarla. Era una figura sullo sfondo di un giorno che finiva, percepivo i suoi occhi su di me.
Scese in un sorriso fra le onde e, come le onde, si ritirò nel mare.
Tornai ogni giorno su quella spiaggia, speravo di poterla rivedere. Seduta, abbracciata in sé, con lo sguardo fra i granelli di sabbia, cercare i miei occhi.
Non la dimenticai mai.
Tornai ogni giorno, ogni anno. Non la rividi più.
Oggi, seduto su questa sedia tremolante, invecchiato e incrinato come essa, guardo il mare. Socchiudo gli occhi sotto il peso del mio capo e sento la sua voce.
- Mi chiamo Onda, vieni con me?
Sulla sabbia, con l’ultima lacrima fra i ricordi, accanto alla forma della sua voce, scrissi
- Si!
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