Caro me,
avrei voluto cominciare questa lettera, in quest’ultimo foglio madido dei giorni vissuti, con la passione delle mie lacrime e dei miei “avrei”. Sarei caduto nel rimpianto e non avrei saputo salire il declivio della speranza. Ti scriverò quindi i miei “saremo”, madidi di volti e frutti mai colti.
Io e te, indissolubilmente legati, conseguenti l’uno all’altro, come solo il cuore in sé stesso può esser l’un e l’altro. Saremo il ritorno, saremo braccia in un abbraccio, arnesi da campo, saremo padri e maestri, la misura che determinerà gli spazi e il tempo che alla luce dedicheremo. Saremo voce e bastone al quale sosterremo i dì che graveranno sulla nostra età, e quando al giunger del tramonto, segneremo il principio della nostra eredità.
L’ascesa ai desideri si è fatta pesante e oggi mi sento stanco.
Oggi la vita passa oltre, non per tutti, non adesso, non consapevolmente, non con coscienza, ma sicuramente e per difetto, frutto della conseguenza. Non comprendo il timore che freme nella mia voce, che sta sulla candela come goccia legata alla plumbea nube. Cosa sarebbe il tempo se fosse vissuto, non per dovere, ma per usufrutto di un reciproco privilegio, quand'un domani saremo il frutto su cui si erigerà il gusto alla vita stessa? Il tempo è un mosaico di tasselli tessuti l’un l’altro, filati lentamente, quanto lentamente può essere colmata la coppa che raccoglie a gocce la nostra eredità.
Sono nato con un contratto di momenti, attimi di vita che nei dì ho goduto, e oggi mi sento derubato. Non farò ritorno, sospingerò la porta alla soglia di occhi che si poseranno, non vedranno un uomo che ritorna, vedranno la solitudine dei rimorsi che gravano sulla voce, tanto da renderla muta. Giungeranno i rimorsi, giungeranno ognuno al proprio tempo, come latri di desideri e piaceri, poiché un uomo che toglie desideri e piaceri con il dolore dell’innocenza infranta, quel peso non sa portare.
S’arida il cuore e diviene cieco se ad ogni colpo, polvere o a polvere, a un cuore ha inflitto la condanna alla memoria, lascia segni che non sa leggere, che saranno scritti e mai letti.
L’uomo porta con sé meraviglia e condanna.
Caro me,
che la vita non hai chiesto, lasci un nome alla memoria e nessun cognome in eredità. Riposa nella solitudine d’un silenzio, poiché essa non sarà l’ultima emozione, ma solo occhi muti senza prospettiva; soli, neppur nella morte, viviamo.
Vivi.
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